Perché c’è costantemente bisogno di nuove medicine?

Sai come nasce un farmaco?

La ricerca per sviluppo di nuovi farmaci deriva dalla necessità di rispondere alle malattie dei pazienti, soprattutto le patologie per cui non esiste ancora un farmaco efficace o per le quali sono state riscontrate resistenze, trovando molecole il cui effetto sia il più possibile specifico. L’industria farmaceutica risponde a questa esigenza investendo nella ricerca di nuove molecole, anche considerando che le malattie si modificano nel corso del tempo, così come si modifica il loro impatto sull’organismo. La ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci ha un costo elevatissimo e per questo motivo l’iter viene affrontato solo se ci sarà la possibilità di vendere tali farmaci ad una buona fetta di popolazione, per permettere di rientrare dalle spese affrontate; il costo del farmaco in ogni caso non viene interamente deciso dalla ditta farmaceutica ma dipende largamente dalla politica sanitaria del Paese.

Tra le malattie più gettonate dalle case farmaceutiche per lo sviluppo di nuovi farmaci ci sono le malattie neurodegenerative come l’Alzheimer ed il morbo di Parkinson, la depressione, il cancro, le malattie cardiovascolari ed infettive, la dermatologia ed i vaccini, mentre le malattie orfane (che affliggono poche persone) non hanno disponibilità di cure, tranne per quei casi nei quali gruppi di ricerca ricevono finanziamenti appositi.

La manifestazione di una malattia in una larga fascia di popolazione porta alla necessità di sviluppare farmaci sempre nuovi e migliori, ad esempio in grado di assicurare migliori profili di sicurezza ed efficacia, di interagire in minore misura con bersagli aspecifici e con meno effetti collaterali. In poche parole, la gara è sempre aperta per trovare nuovi farmaci migliori e più efficaci per trattare la stessa patologia.

Lo sviluppo di nuovi farmaci, quindi, dipende dalla necessità terapeutica, dal numero di pazienti potenziali, dalle tecniche medico-scientifiche disponibili, dalla valutazione economica e dalla probabilità di successo.

Come nasce un farmaco? Una sfida tra medicina e biochimica

La stragrande maggioranza dei casi agisce legandosi ad un recettore o ad una proteina e modulando la sua attività biologica in positivo o in negativo. La conoscenza approfondita delle pathways metaboliche, dei recettori e delle proteine è imprescindibile per sviluppare un farmaco specifico. Quali sono le caratteristiche che deve avere un farmaco? Innanzitutto deve essere somministrabile in modo semplice, possibilmente per via orale; deve permanere abbastanza a lungo nel corpo umano da esplicare la propria attività biologica ma deve anche poter essere eliminato agevolmente senza accumularsi nei tessuti; non deve modulare molecole diverse da quelle bersaglio (specificità). Queste caratteristiche limitano fortemente la coorte di composti utilizzabili.

La maggior parte dei farmaci a dosi opportune ha un’azione terapeutica, mentre a dosi elevate si comporta come un composto tossico, infatti la tossicologia è parte integrante della farmacologia. Un veleno, al contrario, possiede solo azione lesiva, qualunque sia la dose considerata.

La scoperta di una molecola con proprietà terapeutiche può essere casuale oppure può essere dovuta al frazionamento di piante o altri materiali di cui erano già note le proprietà; in questi casi, le proprietà terapeutiche sono note prima di conoscere l’esatto meccanismo di azione della molecola. Una molecola al contrario può anche essere progettata per possedere le proprietà desiderate, ad esempio legarsi ad un particolare bersaglio o regolare l’azione di una proteina. Molto spesso i composti più promettenti vengono selezionati mediante uno screening su una libreria di composti chimici disponibili; le molecole più promettenti saranno studiate in modo più approfondito, prima in laboratorio (fase in vitro), poi su cavie animali (fase in vivo) infine in trial clinici controllati.

La nascita di un farmaco è un lungo percorso ad ostacoli che prevede l’impiego di ingenti risorse umane ed economiche. Si stima che dai primi passi dello sviluppo fino al lancio sul mercato passino 11-12 anni e siano stati spesi almeno 200 milioni di euro. Su 100 molecole promettenti che superano la primissima fase di screening, meno dell’1% arriverà effettivamente sul mercato come farmaco.

Ricerca di base: valutazione delle potenzialità di un grande numero di possibili molecole

La primissima fase per la ricerca di un farmaco consiste nella valutazione delle proprietà farmacologiche di migliaia di composti chimici, cui segue la selezione di un ristretto numero di questi e la scelta di un numero ancora minore di molecole considerate promettenti, che verranno sottoposte a sperimentazioni preliminari e valutazioni cliniche. Come è possibile studiare e screenare una così vasta mole di composti, scartando a priori quelli considerati non incoraggianti?

Per selezionare la molecola ideale, bisogna innanzitutto identificare il bersaglio sul quale la molecola deve agire (target) ed identificare una molecola che funga da composto guida. Le aziende farmaceutiche impiegano elevate risorse per saggiare centinaia di composti utilizzando recenti tecniche di automazione dell’elaborazione dei dati, le cosiddette HTS (High Throughput Screening). I campioni da testare vengono ottenuti mediante lo screening di composti naturali già noti oppure tramite la chimica combinatoriale, che consiste nella generazione di un elevatissimo numero di molecole (librerie) estremamente diverse tra loro in modo da aumentare la varietà dei composti da sottoporre a verifiche farmacologiche. Utilizzando la chimica combinatoriale si testano migliaia di composti in pochi mesi, con un approccio a forza bruta (brute force) che non è indiscriminato ma si basa sulla selezione della molecola in base alle caratteristiche del sistema biologico che sarà bersaglio del farmaco. La vastissima mole di informazioni generata dagli approcci high throughput viene gestita da complessi sistemi informatici e viene delegata da molte aziende farmaceutiche a ditte esterne del settore terziario, attraverso appalti esterni.

Una volta identificati uno o più composti guida, i chimici farmaceutici possono modificarli ad esempio aggiungendo gruppi funzionali che massimizzino l’affinità al bersaglio biologico, procedendo poi con la fase di sperimentazione in vitro. Il principio inderogabile da soddisfare è “primum non nocere”: prima dei test su animali, il laboratorio ha il dovere di verificare in vitro tutte le caratteristiche del possibile farmaco attraverso una serie di test. Questa fase, di selezione delle molecole con una possibile azione farmacologica, dura 2-3 anni e può comprendere il 10% dell’investimento totale.

Come nasce un farmaco: sperimentazione preclinica

Durante la fase preclinica, che si svolge inizialmente in vitro su linee cellulari ed in seguito ex vivo ed in vivo, si eseguono studi sulle caratteristiche chimico-fisiche della molecola (struttura, liposolubilità, stabilità), studi sulle proprietà farmacocinetiche della molecola (assorbimento, distribuzione, analisi dei metaboliti, eliminazione), studi sulle caratteristiche farmacodinamiche (meccanismo d’azione, effetti, relazione dose-effetto e tempo-effetto, calcolo del range terapeutico) e, soprattutto, studi tossicologici (tossicità acuta e cronica, azione sulla fertilità, teratogenicità, mutagenesi, cancerogenesi). Gli studi di tossicità rappresentano la parte più importante.

La finalità della sperimentazione preclinica è verificare se la molecola possiede le proprietà terapeutiche che in teoria le sono state attribuite; eventualmente la molecola può essere modificata dai chimici per aumentarne l’efficacia o migliorarne le caratteristiche farmacocinetiche. Superata la prova della sperimentazione preclinica, che richiede 2-4 anni, è possibile procedere alla sperimentazione sull’uomo. La sperimentazione preclinica va eseguita attenendosi a specifiche norme emanate dal Ministero e prevede anche la sperimentazione sugli animali; vengono in particolare testati almeno 20 composti, isolati dal primo screening, dei quali vengono identificate le strutture chimiche correlate ad una certa azione farmacologica.

Durante la fase di sperimentazione preclinica la complessità del sistema viene gradualmente aumentata: si inizia con studi di biologia subcellulare e frammenti di membrane per comprendere le basi molecolari delle funzioni biologiche, per poi procedere a studi su singole cellule e su colture cellulari allo scopo di controllare la concentrazione del farmaco e la risposta cellulare e tissutale simulando patologie ed i trattamenti farmacologici. In un secondo tempo si procede alla sperimentazione su tessuti isolati (valutazione efficacia primaria) ed in vivo su animali sani o malati che riproducono la malattia, per la valutazione della risposta integrata efficacia/tossicità.

La sperimentazione preclinica in vitro è essenziale come primo step, perché permette di reperire facilmente dei dati in sistemi con minima variabilità biologica ed elevata uniformità genetica (massima riproducibilità); cellule e tessuti inoltre possono essere manipolati geneticamente ed è possibile utilizzare materiale di provenienza umana. Tuttavia, tale approccio ha dei grossi limiti: non è possibile studiare processi biologici complessi, risulta difficile estrapolare i risultati, le cellule immortalizzate delle colture non coincidono con quelle differenziate proprie dei sistemi in vivo. Inoltre gli studi in vitro non consentono di valutare effetti tossici secondari, di determinare l’indice terapeutico ed i parametri farmacocinetici, di fornire indicazioni sul range di dosaggio e di comprendere l’influenza di differenti processi.

Nei test su animali si valuta la genotossicità della molecola (induzione di alterazioni genetiche o cromosomiche, cancerogenicità, alterazione cellule germinali) e questi studi sono eseguiti generalmente su moscerini (Drosophila melanogaster), animali poco conosciuti al grande pubblico e quindi generalmente non considerati dagli animalisti. Gli effetti sulla riproduzione (teratogenicità) vanno eseguiti per verificare se il farmaco può essere somministrato a donne incinte; si eseguono su cavie murine. Gli studi di efficacia e la valutazione di assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione si eseguono su modelli murini oppure animali più simili all’uomo come maiali, cani, pecore e scimmie. Questi modelli animali rappresentano un costo enorme per la ditta farmaceutica: per fare un esempio, due topi transgenici maschio e femmina (in grado di originare una prole con le stesse caratteristiche genetiche) costano fino a 12 mila dollari, senza contare le spese di mantenimento dello stabulario del laboratorio. Non ha senso parlare di business degli animali delle lobby farmaceutiche: i costi altissimi delle cavie animali rischiano di non essere recuperati se ad esempio la molecola si dimostra inadatta in fasi successive.

La sperimentazione in vivo accende sempre forti dibattiti sulla necessità di utilizzare cavie animali per testare i farmaci prima di passare alla sperimentazione clinica. Chi è contrario alla sperimentazione animale sostiene che esistono metodi alternativi, ma non è mai in grado di dire quali. Ad oggi, non esiste un sistema biologico in vitro o ex vivo che sia in grado di simulare realmente un organismo vivente: i modelli computazionali sono estremamente limitati e non sono in grado di avvicinarsi minimamente alla reale complessità di un sistema vivente. Anche per garantire la sicurezza nei confronti del paziente arruolato nella fase clinica, i test su animali sono necessari.

Una volta conclusa con successo la fase preclinica ed ottenuto un farmaco efficace e non tossico, si passa alla fase clinica per verificare la riproducibilità dei risultati sull’uomo.

infografica sviluppo farmaciSperimentazione clinica

La fase di sperimentazione clinica è la più costosa e richiede da 5 a 7 anni. Si suddivide in 3 fasi, più una fase finale di farmacovigilanza.

Farmacovigilanza. Questa fase dura dal rilascio del farmaco al pubblico fino al suo ritiro e consiste nel monitoraggio di tutti i possibili effetti nuovi o avversi emersi in seguito all’utilizzo. Per questa fase si richiede la collaborazione di medici, centri ospedalieri e pazienti per comunicare tempestivamente eventuali effetti collaterali o problemi che ovviamente emergono all’aumentare del campione statistico. Un campione di migliaia di pazienti infatti non può rappresentare l’enorme variabilità del genere umano in cui ogni individuo è diverso per sesso, età, patologie, abitudini alimentari, zona geografica, farmaci assunti, etnia, genetica ecc.; tutte questi fattori e le loro combinazioni sono praticamente impossibili da testare in laboratorio e possono influenzare l’efficacia del farmaco. Se in laboratorio è possibile escludere la maggioranza degli effetti tossici e garantirne la sicurezza relativa, esistono però effetti e reazioni che impiegano anni per apparire. È accaduto che farmaci venissero ritirati dal mercato dopo anni, per il manifestarsi di effetti imprevedibili non rilevati in precedenza, nonostante studi preclinici e clinici approfonditi. Da qui, l’importanza della farmacovigilanza per segnalare tempestivamente qualsiasi evento avverso che potrebbe comparire.

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