Trapianto di faccia

Storia del trapianto

Quando si parla di trapianti, generalmente ci si riferisce a interventi chirurgici salvavita, possibili grazie alla generosità di coloro che decidono di donare, dopo la propria morte, i propri organi vitali. Il primo trapianto al mondo venne effettuato nel 1954 a Boston: si trattava di un trapianto di rene da vivente, in cui il donatore era un gemello identico del ricevente. Fino alla scoperta della ciclosporina e successivamente degli altri farmaci immunosoppressori, infatti, il rischio di rigetto rendeva impossibile effettuare trapianti da donatore non consanguineo. Negli ultimi anni, però, il settore dei trapianti si è ampliato, iniziando a comprendere degli interventi volti non a salvare la vita dei pazienti, ma a migliorarne la qualità: in questa categoria rientrano i trapianti di mani, di gambe e di faccia (vedi anche protesi a basso costo). Si tratta di tecniche ancora sperimentali, e per le quali non sono mancate le critiche di natura etica, specialmente per quanto riguarda i trapianti di faccia.

La storia

Il primo medico a prospettare la possibilità di un trapianto di faccia è stato il chirurgo plastico inglese Peter Butler, che nel 2002 ha pubblicato un articolo su Lancet suggerendolo come un possibile approccio al trattamento dei pazienti con deturpazioni al volto. Il primo trapianto di faccia è però stato effettuato soltanto tre anni dopo, nel 2005, su una donna francese di nome Isabelle Dinoire. Isabelle, svenuta in seguito a un tentativo di suicidio, era stata attaccata e mutilata dal proprio cane, che nel tentativo di svegliarla le aveva maciullato naso, bocca, mento e guance. Il trapianto effettuato su Isabelle fu dunque di tipo parziale: le venne trapiantata la parte inferiore del viso, incluso il naso, e ricevette anche del midollo osseo prelevato dal donatore in modo da limitare il rischio di rigetto. Purtroppo, nel tempo la donna sviluppò un tumore a causa dei farmaci immunosoppressivi che era costretta a prendere, e morì nell’aprile del 2016 a soli 49 anni. Da allora, nel mondo sono stati effettuati circa 30 trapianti di faccia, sia parziali che totali; alcuni sono stati più estesi di altri, comprendendo ad esempio anche il trapianto delle orecchie, del cuoio capelluto o di alcune ossa del viso. Si tratta comunque di una tecnica ancora sperimentale, i cui effetti a lungo termine non sono ancora stati studiati a sufficienza.

Perché effettuare un trapianto facciale?

Il nostro volto rappresenta il biglietto da visita che offriamo al mondo; non solo è strettamente legato alla percezione che abbiamo di noi stessi, ma ricopre anche un importante ruolo funzionale, dal momento che contiene i nostri più importanti organi di senso. Le mutilazioni e le deformità che colpiscono il volto, dunque, provocano danni e disabilità non solo a livello fisico ma anche a livello psicologico, compromettendo la serenità del paziente e la sua possibilità di vivere una vita serena dal punto di vista relazionale. I primi tentativi di chirurgia plastica per rimediare alle mutilazioni del viso sono stati effettuati in seguito alla prima guerra mondiale, quando un elevatissimo numero di soldati tornò dal fronte con il volto deturpato dalle ferite ricevute in guerra. Nel corso dei decenni furono perfezionate nuove tecniche ricostruttive, la maggior parte delle quali si basavano sull’innesto sul viso di pelle proveniente da un altro distretto corporeo del paziente. Si tratta però di una soluzione che lascia molto a desiderare sia dal punto di vista estetico che da quello funzionale: il viso ottenuto ricorda più una maschera, ed è impossibile ricostruire in modo adeguato le labbra o il naso, oppure ripristinare il senso dell’olfatto. Il trapianto di faccia, dunque, rappresenta ad oggi una delle opzioni possibili per il trattamento delle ustioni (vedi l’articolo su ustioni e pelle artificiale) e delle profonde deturpazioni del viso; si tratta però di un intervento estremamente invasivo, che richiede un’elevata compliance del paziente e un adeguato supporto psicologico sia prima che dopo il trapianto facciale.

Pro e Contro

Ad oggi, il trapianto di faccia è l’intervento con il miglior risultato estetico nel trattamento di ustioni e traumi; sebbene il viso appaia inizialmente gonfio e tumefatto, nel giro di un anno il gonfiore si riduce ed il paziente inizia a vedere il risultato finale dell’intervento. È inoltre l’unico intervento in grado di ripristinare la funzionalità del naso e del cuoio capelluto, migliorando in modo significativo la qualità di vita dei pazienti che vi si sottopongono e diminuendo la quantità di interventi a cui essi devono sottoporsi. Un paziente ustionato, infatti, può arrivare a dover sottoporsi anche a cento interventi nel corso della sua vita, ognuno con i suoi rischi legati all’anestesia e con un suo periodo di recupero; il trapianto di faccia invece rappresenta una soluzione che, ad oggi, si è rivelata pressoché definitiva. Le principali obiezioni al trapianto di faccia sono due, una di natura etica ed una di natura medica.

Il problema etico – il volto di qualcun altro

L’obiezione di natura etica riguarda l’utilizzo del volto di un donatore morto: ad oggi, i parenti del potenziale donatore devono dare il consenso esplicito all’espianto, anche nel caso in cui il defunto fosse già donatore di organi in vita. Il principale problema che era stato sollevato era la possibilità che i familiari e gli amici del donatore potessero riconoscere il suo volto, una volta trapiantato nel ricevente; ciò in realtà non avviene, perché la pelle e i tessuti molli del donatore si adattano alla struttura ossea del ricevente, formando così un volto nuovo che risulta essere una composizione del volto del ricevente e di quello del donatore. Eventuali nei o segni particolari – come le lentiggini – sarebbero però visibili anche nel ricevente; in questo caso, generalmente si preferisce cercare un altro donatore, così come nel caso di trapianti di mani non vengono utilizzate mani con tatuaggi o altri segni riconoscibili. Non sempre è così, però: Carmen Blandin Tarleton è una donna americana che ha ricevuto un trapianto di faccia nel 2013, sei anni dopo essere stata aggredita dal marito con della soda caustica, e ha accettato di incontrare la figlia della donna che le ha donato il volto, Cheryl Righter. Miranda, la figlia di Cheryl, ha detto che dopo avere incontrato Carmen per la prima volta, si è sentita felice per la prima volta da molto tempo. “Posso toccare di nuovo la pelle di mia madre. Posso vedere le sue lentiggini, e attraverso te, mai madre continua a vivere. È davvero una benedizione.” ha detto.

Il problema medico – il rigetto

La seconda obiezione è invece di natura medica: come tutti i trapianti, anche il trapianto di faccia richiede l’assunzione per tutta la vita di farmaci immunosoppressori. Si tratta di farmaci che hanno pesanti effetti collaterali: rendono infatti l’organismo più suscettibile alle malattie e alle infezioni, alle malattie cardiovascolari e allo sviluppo di tumori maligni, e abbassano la durata della vita. Per questo motivo, normalmente un trapianto viene visto come l’ultima soluzione possibile, e come un intervento necessario per salvare la vita al paziente. I trapianti di arti e di faccia, invece, non sono generalmente visti come interventi salvavita: bisogna dunque bilanciare in modo attento i rischi e i benefici, selezionando i pazienti più adatti per l’intervento. Sono tuttavia in corso degli studi volti a valutare la possibilità di controllare il rigetto del tessuto trapiantato mediante dei farmaci sperimentali: Charla Nash, una donna americana sottoposta a trapianto di faccia in seguito all’attacco di uno scimpanzé, ha deciso di sottoporsi a uno studio finanziato dall’esercito degli Stati Uniti con la speranza di aiutare gli uomini e le donne feriti e sfigurati in combattimento. Lo scopo dello studio è quello di valutare la possibilità di sostituire i tradizionali farmaci antirigetto con un’altra molecola, l’interleuchina-2, normalmente utilizzata nel trattamento dei tumori alla pelle e ai reni. Lo studio è però stato recentemente sospeso in seguito a un episodio di rigetto subito dalla donna, che ha deciso di ritornare alla terapia antirigetto tradizionale. Un’altra possibile soluzione potrebbe venire dall’uso dell’anticorpo monoclonale Rituximab, che se assunto prima dell’intervento potrebbe impedire ai linfociti B di attaccare il tessuto trapiantato; questa tecnica è stata provata su un paziente, ma non è stata in grado di risolvere pienamente il problema del rigetto.

Il primo trapianto di faccia d’emergenza

Anche il trapianto di faccia può essere considerato, in alcuni casi, un intervento salvavita: nell’aprile del 2013, infatti, è stato effettuato in Polonia il primo trapianto di faccia d’emergenza. Il trapianto è stato effettuato su un uomo di 33 anni, rimasto anonimo, che aveva subito un danno esteso al naso, alla mascella e agli zigomi in seguito a un incidente avvenuto sul luogo di lavoro. Il paziente era a serio rischio di infezioni a causa dell’esposizione di una zona vicina al cervello, non poteva mangiare né respirare autonomamente: per questo motivo, il team di chirurghi guidato dal dottor Adam Maciejewski ha deciso di effettuare un trapianto di faccia, a sole tre settimane dall’incidente. Normalmente, i trapianti di faccia sono considerati l’ultima risorsa in pazienti con ustioni o mutilazioni severe che sono già stati sottoposti e numerosi interventi di chirurgia ricostruttiva, e richiedono mesi e mesi di preparazione; in questo caso, invece, il trapianto è stato effettuato n emergenza e con un preavviso minimo. Ciò nonostante, l’intervento è stato un successo: dopo 11 settimane di degenza, il paziente è tornato a casa, anche se dovrà continuare a sottoporsi alla terapia riabilitativa per molto tempo.

Il futuro dei trapianti di faccia

Dal 2005 ad oggi, le tecniche utilizzate per i trapianti di faccia sono state perfezionate e migliorate, grazie anche alla collaborazione tra i chirurghi che hanno effettuato questi tipi di interventi. Per rendere il trapianto di faccia accessibile al massimo numero possibile di pazienti, però, bisognerà intervenire in due direzioni: il primo passo sarà trovare una soluzione definitiva al problema del rigetto, che ad oggi rappresenta un notevole ostacolo per tutti i tipi di trapianti. Se si riuscirà a risolvere questo problema, sarà possibile aprire la strada a molti trapianti che fino ad oggi non sono stati considerati, non essendo interventi salvavita: sarà possibile trapiantare un pollice, ad esempio, o un orecchio. Il secondo problema è quello dell’accessibilità dell’intervento: essendo ancora in fase sperimentale, ad oggi il trapianto di faccia non è coperto dalla maggior parte delle assicurazioni sanitarie e dei sistemi sanitari nazionali; con l’aumento del numero di trapianti effettuati e dunque dei dati sulla loro efficacia e sicurezza, però, tale situazione potrebbe cambiare, permettendo l’accesso al trapianto anche a nuove tipologie di pazienti, come ad esempio quelli colpiti da tumore o da deformità congenite.